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Una tomba per le lucciole

Una tomba per le lucciole“La sera del ventuno settembre 1945 io morii”. Così si apre il film, senza lasciare il dubbio sulla drammaticità del suo contenuto.
Siamo a Kobe, in Giappone, la Seconda Guerra Mondiale si è conclusa da pochi giorni e un bambino muore di stenti in una stazione ferroviaria, tra l’indifferenza dei passanti. L’unica cosa in suo possesso è una scatola di latta che contiene soltanto delle lucciole.

Isao Takahata, co-fondatore dello Studio Ghibli insieme al più noto Hayao Miyazaki presenta la sua visione degli orrori della guerra vista dagli occhi di due bambini e ci fa conoscere il punto di vista dei civili giapponesi, vittime anche loro non meno dei soldati al fronte. E’ una visione in cui in fondo tutti sono vittime, gli americani che sono tecnicamente i carnefici, coloro che seminano morte e distruzione, non sono visti con odio e il film è realizzato con un realismo e una cura per i dettagli impressionante, perfino il rumore degli aerei da bombardamento americani è ricostruito con cura.

Siamo nel 1945, la guerra si sta avviando versa una disastrosa fine per il Giappone; Seita e la sorellina Setsuko si separano dalla madre per scappare in un rifugio antiaereo durante un bombardamento americano. Durante il bombardamento l’atteggiamento del bambino è di stupore: gli aerei americani sganciano piccoli oggetti, poco più che lattine e non le micidiali bombe dirompenti che ci si aspetterebbe. Questo è esattamente quanto accadeva quando l’obiettivo dell’aviazione americana erano le città giapponesi: la maggior parte degli edifici erano costruiti in legno, inutile usare bombe dirompenti, molto più efficace usare piccole bombe in grado di innescare tanti piccoli incendi in grado di propagarsi per tutta la città.
Seita e Satsuko si salvano ma la loro madre è gravemente ustionata e morirà pochi giorni dopo, il padre è in marina, imbarcato su una nave da guerra e i bambini non hanno sue notizie da lungo tempo. In un attimo si ritrovano soli e devono badare a sè stessi.
Il piccolo Seita, diventato di colpo responsabile anche della sorte della sorellina, decide di chiedere aiuto e rifugiarsi da una zia, portandole quel poco che erano riusciti a salvare dalla loro casa, cibo e abiti preziosi. La zia in un primo momento li accoglie calorosamente ma poi lentamente il suo atteggiamento muta. L’anziana donna è una fedele alla causa del regime imperiale, per convinzione propria o per effetto della propaganda non è dato sapere e non è importante; non capisce perchè Seita non accetti di andare a lavorare nelle fabbriche di armi, come tutti i suoi coetanei e quando i beni portati dai due bambini si esauriscono lascia chiaramente intendere che due bocche da sfamare in più non sono gradite nella sua casa.

I due decidono di rifugiarsi a vivere in una grotta nelle vicinanze, cibandosi in un primo momento di quel poco riso che erano riusciti a salvare ma presto tutto il loro cibo finisce. Per sopravvivere Seita comincia a rubare, come uno sciacallo entra nelle case abbandonate durante i bombardamenti e ruba dai campi dei contadini di notte ma finisce per essere preso, malmenato, denunciato per furto e portato alla polizia. Qui incontra un’altra vittima della guerra, il poliziotto infatti è un uomo molto anziano, inadatto al servizio militare attivo e costretto a svolgere compiti di polizia dato che tutti gli uomini ancora giovani sono al fronte; l’anziano uomo rilascia immediatamente Seita, convinto che le botte prese dai contadini siano più che sufficienti come punizione ma non riesce ad aiutare il bambino più di così.
Seita prova a recarsi in banca per prelevare i risparmi dei genitori e in città scopre che l’incrociatore del padre è stato affondato. Capisce che il padre è morto e viene colto da un eccesso di rabbia nei confronti del genitore scomparso: ha capito di essere solo al mondo e di non poter contare su nessuno per occuparsi della sorellina ma anche capito che la morte del padre è stata inutile.
Quando torna al rifugio improvvisato trova Setsuko, al culmine della denutrizione, che sta cercando di dar sollievo alla fame succhiando dei sassi come se fossero caramelle, Seita prova disperatamente a farle mangiare un po’ dell’anguria che è riuscito a procurarsi ma è troppo tardi e la bambina muore.

La scena seguente è straziante: la guerra è ormai finita e Seita è costretto a dire addio da solo all’amata sorellina, cremando il suo corpicino sulla “loro” spiaggia, secondo la tradizione giapponese.

E’ un film che fa male al cuore e bene allo spirito, alla sua uscita ha avuto grande successo in Giappone ma molto meno all’estero. In particolare negli Stati Uniti non è stato particolarmente apprezzato, forse perchè getta del sale su una ferita aperta, risvegliando i sensi di colpa del popolo americano. L’America è entrata in guerra perchè aggredita dai Giapponese a Pearl Harbour ma i civili giapponesi e i bambini in particolare non possono essere certo considerati tra gli aggressori ma solo tra le vittime. Ci tengo a ripetere che in tutto il film non c’è nessun giudizio negativo nei confronti del “nemico”, viene solo raccontata la guerra vista dagli occhi di due bambini giapponesi.

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