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Sacro GRA

Sacro GRA

Sacro GRA è un documentario del 2013 diretto da Gianfranco Rosi.

L’opera è stata presentata in concorso alla 70ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia dove ha vinto il Leone d’oro al miglior film, primo documentario nella storia della rassegna veneziana ad aggiudicarsi il massimo riconoscimento.

Il film documenta, senza commento esterno o interviste di sorta, scene di vita reale che si svolgono tutte in prossimità del Grande Raccordo Anulare (il GRA del titolo), l’anello autostradale che circonda Roma.

Roberto fa il barelliere sulle ambulanze del 118 e pertanto passa spesso la notte a soccorrere, fra gli altri, le vittime di incidenti stradali sul GRA. Vive da solo e talvolta nel tempo libero si intrattiene in video-chiamata con un’amica. Ha un tenero rapporto con l’anziana madre malata.

Francesco è un botanico intento a difendere un’oasi di palme dall’attacco del punteruolo rosso, un micidiale coleottero parassita che distrugge le piante dall’interno. La meticolosità con cui egli monitora il territorio pianta per pianta, con l’ausilio di un registratore digitale che rileva la presenza dei parassiti nel tronco delle palme, parrebbe suggerire che la lotta all’insetto rappresenti per lui un’autentica missione.

Il principe Filippo Pellegrini vive, assieme alla giovane moglie Xsenia e alla figlia Anastasia, in un sontuoso palazzo in zona Boccea che la famiglia affitta a convegni, sfilate, come bed and breakfast e set per cinema e fotoromanzi. L’enorme abitazione, arredata in modo piuttosto vistoso ed eccentrico, ospita anche un piccolo teatro. Nella pausa di lavorazione di un fotoromanzo, l’anziano attore Gaetano confida a una giovane amica attrice una sorta di lezione di vita.

Cesare è uno degli ultimi pescatori di anguille ancora rimasti sul Tevere; abita, assieme alla compagna ucraina, su una grossa zattera in riva al fiume, a poca distanza dal punto in cui il suo corso interseca gli alti viadotti del GRA.

Paolo è un nobile piemontese, apparentemente decaduto, dalla lunga barba e dal parlare molto forbito, che – per ragioni ignote allo spettatore – abita ora con la figlia laureanda Amelia in un monolocale, dentro una fredda e anonima palazzina, probabilmente uno dei tanti edifici occupati da sfrattati e sfollati precedentemente adibito a uffici, nei pressi dell’aeroporto di Ciampino, sorvolata di continuo da aerei di linea a bassa quota; da lui stesso apprendiamo che dalla finestra di casa si gode la vista della cupola di San Pietro. Nello stesso palazzo (che il regista riprende sempre dall’esterno, con identica inquadratura fissa su ciascun appartamento) vive fra gli altri una famiglia di immigrati, il cui giovane figlio si diletta con attrezzatura per deejay.

L’alternarsi delle storie citate è inframmezzato da numerosi e più brevi episodi interlocutori, tra i quali: anziane prostitute che stazionano ai margini della strada dentro un camper scalcinato, una coppia di giovani cubiste che balla sul bancone un chiosco-bar, un raduno di devoti che assistono a una “apparizione della Vergine” e la riesumazione di vecchie salme del cimitero Flaminio, destinate a una fossa comune anch’essa non lontana dal Raccordo Anulare.

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