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Regista

Giuseppe De Santis

Giuseppe De SantisGiuseppe De Santis (Fondi, 11 febbraio 1917 – Roma, 16 maggio 1997) è stato un regista e sceneggiatore italiano, tra gli esponenti di spicco del neorealismo cinematografico.

De Santis nacque a Fondi, in provincia di Latina (ma all’epoca in provincia di Caserta), l’11 febbraio 1917 da Oreste De Santis, geometra, e da Teresa Goduti. Già negli anni della formazione mostrò il vivo interesse per la letteratura, componendo e pubblicando racconti intessuti di vita paesana e familiare. Fratello di uno dei più grandi direttori della fotografia Italiana Pasqualino De Santis.

Tra il 1935 e il 1940 a Roma, studente universitario di Lettere e filosofia (che presto abbandonerà per seguire la sua vocazione di cineasta) poté frequentare un gruppo di giovani intellettuali gravitanti intorno al Meridiano di Roma ma soprattutto alla galleria d’arte della Cometa diretta dal poeta Libero de Libero, suo conterraneo. Il gruppo elaborava allora una poetica e visione artistica globale versata all’interdisciplinarità e improntata a razionalità e concretezza: e proprio per questi principi il De Santis capì che l’illustrazione e la discussione più efficace poteva essere realizzata meglio con lo strumento della cinematografia. Frequenta l’Osteria Fratelli Menghi, noto punto di ritrovo per pittori, registi, sceneggiatori, scrittori e poeti tra gli anni ’40 e ’70.

Il quel periodo la situazione del cinema italiano era depressa, a causa del divieto autarchico decretato dal fascismo contro l’importazione di film stranieri: imperversava la moda dei telefoni bianchi, ecc. A tale situazione reagì il gruppo di intellettuali raccolti intorno alla rivista quindicinale Cinema (diretta da Vittorio Mussolini, figlio di Benito Mussolini), su cui già dal 1940 De Santis curò una rubrica fissa: discutendo e collaborando con giovani di talento, quali Carlo Lizzani, Gianni Puccini e Antonio Pietrangeli, contribuì allora a fare di Cinema la rivista che durante il fascismo riuscì a svolgere, tra le righe, un’opposizione sempre più chiara e significativa alla politica culturale del regime (Gianni Rondolino, Storia del cinema italiano, p. 410) e quel vivaio di forze culturali, ispirate dalla visione culturale di Giuseppe Bottai, nel dopoguerra convertitesi all’antifascismo contribuiranno al rinnovamento della cinematografia italiana.

Peraltro negli anni 1940 e 1941 De Santis frequentò a Roma il Centro Sperimentale di Cinematografia, dove si diplomò brillantemente e poté realizzare le prime prove di regia. In quegli anni entrò anche in contatto con un importante gruppo di giovani romani antifascisti, segnatamente Mario Alicata, Giaime Pintor, Antonello Trombadori e il conterraneo Pietro Ingrao tutti fuoriusciti dal fascismo sociale e antisemita di Bottai per approdare gradatamente al comunismo. La frequentazione di questo gruppo fu determinante per l’orientamento politico e culturale del giovane De Santis, che militando nel PCI incontrò spontaneamente la classe operaia e il mondo contadino, dai quali attingerà non solo temi e questioni che tratterà nelle sue opere mature, ma anche uno stile appropriato, realista e epico come lo erano le tradizioni narrative e cantate della cultura popolare.

Dopo alcune collaborazioni con registi di grido come Luchino Visconti (in Ossessione, di cui firmò anche la sceneggiatura) e Roberto Rossellini (in Desiderio), nel 1948 realizza il primo lungometraggio, Caccia tragica, che per i temi trattati (la lotta fra i contadini di una cooperativa e un gruppo di agrari), il ritmo di dramma popolare, non immune peraltro da esigenze narrative “americane” (scene movimentate e drammatiche, erotismo, etc.), inaugura la stagione del neorealismo, alla quale De Santis contribuisce attraverso un’analisi rigorosa delle forze sociali, una presa diretta della realtà umana e sociale (spesso i suoi attori sono presi dalla gente del luogo), ma in particolare superando i modi didascalici della cinematografia sovietica e l’ideologismo della letteratura nazional-popolare con un uso originale della macchina da presa, che riproduceva cadenze e ritmi narrativi e visivi propri della cinematografia americana.

Prima del 1943, e quindi prima della realizzazione del film Ossessione, Luchino Visconti, con Gianni Puccini, Giuseppe De Santis e Mario Alicata, aveva tentato di varare un film tratto da un racconto di Verga imperniato sulla vicenda di un contadino che alla fine del secolo scorso diventa bandito L’amante di Gramigna. Ma purtroppo, a sceneggiatura ultimata, il Ministero della Cultura Popolare nella persona di Alessandro Pavolini non gli diede il permesso di farlo, anzi Pavolini di suo pugno scrisse sulla copertina della sceneggiatura: “Basta con i banditi!”.

Questi caratteri contribuiscono fortemente al trionfo della prova successiva, Riso amaro (1949), che tratta della dura lotta per la vita delle mondariso, in una storia che intreccia l’analisi politica segnata dalla lotta di classe alla sfera del privato dei protagonisti. Nella regia si esalta la recitazione di un’esordiente d’eccezione, Silvana Mangano. Per questo film De Santis e Carlo Lizzani ottengono la nomination per il Premio Oscar per il miglior soggetto.

Le stesse tematiche, sullo sfondo di una società contadina ancora “primitiva” e conflittuale, quella della natìa Fondi, vengono trattate nel successivo Non c’è pace tra gli ulivi (1950). Con Roma ore 11, ispirato ad un fatto di cronaca di forte presa sociale avvenuto a Roma (1952), e Un marito per Anna Zaccheo (1953), che analizza la vita e i tormenti di una ragazza napoletana afflitta dalla sua procace bellezza, che diventa ostacolo per la vita normale alla quale ambisce, De Santis lascia momentaneamente la campagna per trattare temi cittadini e borghesi, in un’Italia che nel pieno della ricostruzione si orienta sempre più su miti e atteggiamenti “americani”. La sua regia si impone, in particolare per l’uso sapiente e originale della gru, del dolly e della tecnica del pan focus, con cui domina il movimento ampio ma controllato in particolare delle folle.

Con Giorni d’amore (1954) e Uomini e lupi (1957) torna ai temi consueti. In particolare Giorni d’amore è il suo primo film a colori e conquista il Nastro d’argento nel 1955 per il migliore attore protagonista (Marcello Mastroianni) e poi il premio per la migliore fotografia a colori al III Festival Internazionale di Cinema di San Sebastian (Otello Martelli).

Con La strada lunga un anno, girato nel 1958 in Istria e candidato al premio Oscar come miglior film straniero, inizia la crisi del regista: crisi di ispirazione, stanchezza, incapacità di rinnovarsi profondamente in un periodo storico molto critico per la sinistra, che non riesce ad assorbire gli eventi catastrofici del comunismo sovietico (destalinizzazione, repressione sanguinosa della rivolta d’Ungheria del 1956). Ma tutto il filone del neorealismo entra in crisi, dando spazio alla commedia all’italiana. Tuttavia, il film conquista il premio alla migliore regia al Festival di Pola del 1958.

La nuova stagione della produzione di De Santis inizia con uno scialbo La garçonnière (1960) narrante l’avventura extraconiugale di un uomo che infine, deluso, ritorna in famiglia; continua con Italiani brava gente (1964), una coproduzione italo-sovietica sulla ritirata di Russia delle truppe italiane, in cui torna sottopelle l’ideologia nelle forme della ribellione dei proletari di ogni parte belligerante contro la guerra, e termina con Un apprezzato professionista di sicuro avvenire (1972), un feuilleton con cui pare volersi cimentare con le tematiche del trionfante indirizzo della commedia all’italiana.

Negli anni 80 e 90 è docente presso il Centro Sperimentale di Cinematografia, continuando parallelamente a progettare film che non vedranno mai la luce. Nel ’95 riceve il Leone d’Oro alla carriera al Festival di Venezia e insieme a Bruno Bigon cura la regia di Oggi è un altro giorno – Milano 1945-1995, documentario dedicato alla Resistenza a Milano, rivista attraverso gli occhi di un gruppo di studenti liceali. Scompare il 16 maggio del 1997.

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