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Attrice

Jean Harlow

Jean HarlowFiglia di un dentista e di una intraprendente aspirante attrice, che si separò dal compagno poco tempo dopo la nascita della figlia, la giovane Harlean Carpenter venne spinta dalla madre a debuttare sullo schermo. Il primo passo fu quello di cambiare il suo nome con quello della madre, che era registrata all’anagrafe come Jean Harlow. A soli diciotto anni, la prosperosa ragazza si era già fatta notare come figurante in film di discreto livello (nel 1929 fece addirittura da partner ai noti Stanlio e Ollio in alcune loro comiche).

Nonostante il suo desiderio di farsi una famiglia e vivere in disparte, la Harlow venne travolta ben presto dal successo cinematografico. Nel 1931, infatti, il produttore e aviatore milionario Howard Hughes la scritturò come protagonista della versione sonora del suo colossale film d’avventura Gli angeli dell’inferno (1931), in cui la bionda attrice si mise in luce per una bellezza al contempo solare ed intrigante e per un fare disinvolto e seducente. Alla prima del film, la prima battuta che la giovane Harlow pronunciava, annunciando ad un aviatore di andare a mettersi “qualcosa di comodo”, fu quanto di più audace gli spettatori del sonoro potessero udire.

In seguito l’attrice lavorò per i più importanti studios di Hollywood, dalla Warner Bros., che la affiancò a James Cagney nel gangster-movie Nemico pubblico (1931), alla Columbia, per cui interpretò il famoso La donna di platino (1932), di Frank Capra, in cui il soprannome, dovuto al colore dei capelli, divenne sinonimo della Harlow.

Man mano che il tempo passava, Jean Harlow andava conquistando il pubblico per una notevole quanto involontaria carica erotica che l’attrice emanava con una sorprendente ingenuità. Il pubblico cominciò anche ad imitare lo “stile Harlow”: molte donne americane corsero a spendere i propri risparmi per ossigenarsi i capelli (la Harlow, bionda naturale, si affidava ad una parrucchiera solo per ottenere la tonalità “platino”), mentre i produttori di scarpe con il tacco alto e di pellicce fecero affari d’oro grazie alle fotografie in cui l’attrice appariva vestita da gran sera. Nella vita privata e sul set, inoltre, rifiutava categoricamente di indossare il reggiseno: il suo fisico atletico (la Harlow praticava numerosi sport, non fumava, né abusava di alcolici) aderiva perfettamente agli abiti eleganti, molti dei quali in lamé che le costumiste di Hollywood le confezionavano su misura. Jean Harlow, negli anni trenta, accettò di farsi ritrarre nuda.

Nel 1932 la Harlow venne scritturata dalla Metro-Goldwyn-Mayer, e lo stesso anno ne sposò uno dei più importanti produttori, Paul Bern, di ventidue anni più anziano di lei, che morì appena due mesi dopo le nozze, ucciso da un colpo di pistola alla nuca: la causa più probabile della morte è il suicidio. Bern, che pare fosse ossessionato dalla sua presunta o reale inadeguatezza fisica che rendeva difficile avere rapporti sessuali, lasciò alla moglie un biglietto d’addio che si chiudeva con la frase tu sai che ieri è stata solo una commedia. Nei primi anni del 2000, un documentario dedicato da Paolo Limiti a questa vicenda, ha affrontato l’avvalorata ipotesi secondo cui Bern fu ucciso dalla sua ex moglie, affetta da disturbi mentali. La potenza degli Studios arginò comunque lo scandalo, ma la stampa scrisse fiumi d’inchiostro, carichi dei più sordidi dettagli sul matrimonio Bern-Harlow. Pur toccata profondamente dalla morte del marito, la giovanissima vedova si gettò a capofitto nel lavoro recitando in una dozzina di film per la MGM, nei quali dimostrò di poter interpretare ruoli molto più significativi di quelli impersonati precedentemente. Il primo film memorabile con la MGM fu Lo schiaffo (1932), di Victor Fleming, accanto al divo Clark Gable, di cui fu amica e amante. Seguirono altri successi come Red-Headed Woman (1932) di Jack Conway, Pranzo alle otto (1933) di George Cukor, Sui mari della Cina (1935) di Tay Garnett, Riffraff (1936) di Robert Z. Leonard e La donna del giorno (1936) di Jack Conway.

Alla metà degli anni trenta, al contrario di quella professionale, la sua storia personale attraversava momenti poco felici: sua madre e il suo secondo marito, l’italo americano Marino Bello, che coltivava rapporti con la malavita, vivevano dei proventi della sua carriera e ne organizzavano puntigliosamente la vita privata. Una condizione su cui la stessa Harlow riuscì ad ironizzare, interpretando il ruolo di protagonista di Argento vivo (1933), diretto da Victor Fleming e incentrato sulle vicende di una star che vive in una prigione dorata, assediata da parenti parassiti. Nel 1934 l’attrice si era nel frattempo risposata con Harold Rosson, un direttore della fotografia, come Bern, molto più vecchio di lei: l’unione durò meno di un anno, e la Harlow tornò a vivere con madre e patrigno.

Nell’ultimo periodo della sua vita fu legata all’attore William Powell, con cui sembrava aver trovato una stabilità sentimentale. Ma durante le riprese di Saratoga (1937) di Jack Conway, Jean Harlow si sentì male. Ritiratasi a casa della madre non venne concesso di vederla a nessuno di quelli che venivano a visitarla e a informarsi delle sue condizioni. Sua madre tenne sulla porta chiunque si presentasse, incluso il fidanzato Powell. Passato un mese senza che trapelasse nulla sulle condizioni di salute dell’attrice, si ripresentarono Clark Gable, William Powell e il dirigente della casa di produzione, questa volta accompagnati da un ufficiale di polizia.

Trasportata in ospedale, però, la Harlow entrò in coma e morì alcuni giorni dopo, senza mai riprendere conoscenza, al Good Samaritan Hospital: erano le 11 e 37 del mattino del 7 giugno 1937. La diagnosi fu nefrite acuta. Qualcuno avanzò il dubbio che l’infezione ai reni fosse dovuta proprio alle violente percosse subite dal marito Paul Bern. Si disse anche che la madre della diva, seguace della chiesa scientista, avesse impedito che la figlia ricevesse immediatamente delle cure mediche adeguate. Questa leggenda è stata smentita da un documentario di History Channel, che racconta invece di quanto nulla si potesse fare per la sfortunata diva, che era irrimediabilmente malata. Nella camera ardente dell’attrice, i cui funerali furono uno dei massimi avvenimenti per la Hollywood del 1937, spiccavano i fiori inviati da Powell, accompagnati da un biglietto su cui c’era scritto semplicemente Buonanotte tesoro.

“Brava e sfortunata”, disse Clark Gable durante le esequie, “e non soltanto per quella sua atroce fine: la vita, con il successo, le aveva imposto prove difficilissime da superare, esperienze dure e scottanti. Una ‘bambola’, la nostra carissima Jean? Io, in lei, ho visto solo una donna, una gran donna”. Fu imbalsamata e inumata all’interno di una cappella acquistata da Powell nel cimitero monumentale di Forest Lawn Glendale, a Los Angeles. Sulla lapide in marmo, per volontà della madre, non furono incisi il suo nome e le date di nascita e morte, ma solo due parole: “Our Baby”.

Il film in cui stava recitando, Saratoga, venne terminato da Mary Dees, una controfigura inquadrata di spalle, mentre l’attrice Paula Winslow imitò la voce squillante della Harlow nel doppiaggio. Le testimonianze che tutt’oggi giungono riguardo Jean Harlow la descrivono come una ragazza generosa, tenera, gioiosa, genuina, dotata di una sofferta fragilità, con una naturale, provocante e seducente sensualità con cui è entrata a far parte di diritto della storia del cinema. Spentasi a soli ventisei anni e all’apice del successo, la Harlow viene solitamente considerata un’antesignana della celeberrima Marilyn Monroe. La Monroe, che la ammirava moltissimo, fino alla sua morte, avvenuta nel 1962, volle farsi decolorare i capelli da Pearl Porterfield, l’ormai anziana parrucchiera di Jean Harlow. Con Norma Talmadge, la Harlow fu d’ispirazione alla madre della Monroe per il nome di nascita, nata infatti “Norma Jeane” (con una “e” aggiunta per sbaglio).

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